GENOCIDIO ROHINGYA
I Musulmani di Birmania sono sottoposti a una violenta persecuzione da parte della popolazione buddista, che attua veri e propri pogrom con efferati massacri ed eccidi, vera e propria pulizia etnica, con corpi brucitati lasciati in mezzo alle strade e nelle piazze di quartieri abitati da musulmani sventrati e moschee date alle fiamme. Gli autori di questi crimini sono dei gruppi di civili buddisti, fanatizzati da una minoranza di monaci estremisti. Principali vittime di questa persecuzione, che ha anche radici politico-religiose oltre che razziali, sono i musulmani della comunità dei Rohingya, originari del Bengala [India] di cui 800 000 popolano lo Stato dell’Arakan, al nord-est del Paese, i quali sono stati esclusi dalla cittadinanza nel 1982, ma non bisogna dimenticare che la presenza in Birmania dell’Islàm per conversioni di gente del luogo risale all’VIII secolo dell’era volgare, grazie all’attività di promozione dei valori dell’Islàm da parte di mercanti musulmani. Essi sono arbitrariamente considerati degli stranieri e contro di loro è scatenata da una minoranza religiosa buddista che ha il sostegno del profondo razzismo, che alberga in seno alla società Birmana. Espulsione dalle loro terre, difficoltà di sposarsi, esclusione dallo studio sono le gravi condizioni in cui versa questa minoranza di nostri fratelli perseguitati dalla classe che detiene il potere in Birmania, che fa di tutto per forzarli a emigrare, li rinchiude in veri e propri lager e per giunta promuove negli abitanti dell’Arakan un vero e proprio odio anti-Rohigya un una feroce propaganda islamofobica, rappresentando l’Islàm in maniera da suscitare ripugnanza, paura e odio. E’ veramente vergognoso che il Mondo, pur sapendo della tragedia dei Musulmani Rohingya dell’Arakan in Birmania [oggi Myanmar] stia a guardare senza muovere un dito per affermare il diritto di ogni uomo all’esistenza e stupisce il silenzio di Aung San Suu Kyi, il silenzio di lei, che fu attiva per molti anni nella difesa dei diritti umani nel suo Paese, oppresso dalla dittatura militare, imponendosi come leader del movimento non-violento, tanto da essere insignita del Premio Nobel per la pace nel 1991 ed essere attualmente, dopo avere vinto le ultime elezioni, Consigliere di Stato della Birmania, Ministro degli Affari Esteri e Ministro dell’Ufficio del Presidente.