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IL MARTIRIO
DI YASER E SUMAYA
di M.M. Siddiqui
Trad. di: Khadigia Moretti

Dai Messaggeri dell’Islàm pubblicati nel 1989 abbiamo tratto il testo di una serie di puntate di un libro, intitolato YASER E SUMAYA scritto dallo studioso M.M. Siddiqi e tradotto dalla non mai abbastanza compianta, nostra grande sorella Khadigia, che Allàh, rifulga losplendor della Sua Luce, la ricompensi con il Paradiso più Alto per la sua vita dedicata al lavoro perché la Parola di Allàh sia la Più alta, nei renghi del Centro Islamico, al successo delle iniziative del quale dide sempre un importante contributo nella loro programmazione da parte del Direttivo del Centro di cui faceva parte. La Traduzione non è solamente una traduzione letterale dall’inglese all’italiano, ma è qualcosa di molto di più, perché anche nei punti e nelle virgole del testo si sente vibrare di quel forte sentimento islamico, di cui era riccamente intessuta la sua anima. Come collaboratrice del Messaggero dell’Islàm diversi sono gli articoli pubblicati senza firma e sue sono tutte le ricette di cucina, per la delizia delle tavole dei credenti e delle credenti lettrici del Messaggero. Leggiamo in sua memoria le parole e facciamo tesoro del sentimento di amore per i due primi martiri dell’Islàm, da cui nacque la scelta di tradurre il lavoro del prof. Siddiqi.
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Messaggero dell’Islàm n° 68
(Giugno1989)
YASER E SUMAYA - 1

di M.M. Siddiqi
Sumaya capì che qualcosa non andava in Yaser. Sebbene si fosse svegliato più presto del solito, non si era alzato dal letto, né aveva fatto il suo solito chiasso di primo mattino. Invece, se ne stava semplicemente sdraiato a fissare il soffitto. “Cosa succede, Yaser? Sei ammalato?”, gli chiese, - carezzandogli la fronte. “No, non c’è nulla”, replicò lentamente il vecchio. “Sto bene”. “Allora perché non fai il tuo solito chiasso?” “Sumaya, tu sei una donna strana. Se parlo e ti stuzzico, dici che disturbo il tuo sonno. Adesso che sono tranquillo, mi chiedi perché lo sono! Ho fatto un sogno terribile che mi ha spaventato!”. Sumaya sorrise e disse: “Possa tu fare un sogno simile ogni notte. Almeno potrò riposare un po’ di più”.
Yaser rispose a questo scherzo con un debole sorriso, ma poi divenne molto triste e serio. “No, Sumaya. Questo non era un sogno qualsiasi. C’era qualcosa di strano in esso, e deve avere qualche significato profondo. Solitamente, io dimentico i miei sogni appena mi sveglio, ma questo è ancora fresco nella mia mente. Non posso dimenticarlo”. “Raccontamelo, allora”, disse Sumaya. “Può darsi che, parlandone, alleggerirai la tua anima”. “Non posso raccontarti tutto, ma solo poche cose che sono così vivide, come se le vedessi ad occhi aperti. C’era una vallata, né troppo ampia né troppo stretta, ed era circondata da due enormi montagne, così alte che non si poteva vederne la sommità. Su queste montagne c’erano fenditure e crateri dai quali uscivano fiamme verso il cielo. Il fuoco e le fiamme avevano sommerso l’intera valle, come se il fuoco scorresse simile ad acqua. Ma al di là della valle c’era un bel prato in cui scorrevano fiumi, e li il fuoco non arrivava. Ti ho visto laggiù, stavi in mezzo a quel fertile prato, non vecchia come sei ora, ma giovane, fresca e sorridente. Il tuo volto splendeva come la luna piena e mi facevi cenno di venire da te. Ammar stava dietro di te e mi diceva: “Padre, non aver paura: Questo fuoco non ti brucerà. Forse qualche piccola scottatura, e poi lo supererai e sarai qui con la mamma. Guardala, com’è giovane e graziosa!” Mentre tu mi invitavi a venire ed Ammar mi persuadeva ad andare, io non riuscivo a farmi forza. Mi precipitavo in avanti, ma quando ·toccavo il fuoco, il suo calore mi destava”. Dicendo queste parole, Yaser si incurvò “Oh, posso ancora sentire il bruciore del fuoco!” Ovviamente turbata, Sumaya lo confortò. “Oh, caro! Mangia qualcosa, poi andremo da qualcuno a chiedere il significato del sogno”. Dopo aver raccontato a Sumaya il suo sogno, Yaser si recò al Haràm. Si unì alla cerchia dei Banu Makhzùm, ma essi continuavano a parlare di sé stessi non curandosi di lui. Egli sapeva che i Makhzumiti erano superbi e altezzosi, e se non avesse fatto un patto con Abū Hudhaifa, Yaser avrebbe fatto alleanza con qualche altra tribù dei Quraisciti. Egli era stato fedele ad Abū Hudhaifa durante la sua vita, e voleva rimanergli fedele anche dopo la sua morte. Egli voleva raccontare ai Makhzumiti il suo sogno della notte scorsa, ma il loro atteggiamento lo scoraggiò. Egli conosceva la loro condotta impudente e le loro maniere sprezzanti, ed in qualche occasione li aveva rimproverati per questo, ma senza alcun vantaggio. Il disprezzo dei Quraisciti per gli estranei era un fatto ben noto, ed il popolo lo tollerava, concedendo ad essi una condizione sociale superiore. Alla fine ci fu una pausa nella conversazione ed Abū Jahl si rivolse a Yaser dicendo: “Come mai, Yaser, oggi sei in ritardo?” “Sì, Abū-1-Hàkam, Sumaya mi ha tenuto occupato in casa”, replicò Yaser con compiacenza. “Yaser, voglio chiederti qualcosa che è un mistero per me”, disse Abū Jahl. “E cioè?” “Non ti ho mai visto andare davanti ai nostri dei, né ti ho sentito dire qualcosa di buono su di loro”. “Ho forse detto qualcosa di male su di loro?” rispose Yaser ridacchiando. “O ho danneggiato i ‘vostri’ dei?” “Allora, sono i ‘nostri’ dei, e non i tuoi, è così?” “Dove vuoi arrivare, Abū-1-Hàkam?” chiese Yaser. Il viso di Abū Jahl arrossì di rabbia, ed egli esclamò violentemente: “Per Lat e per ‘Uzzah! Certamente vogliamo sapere chi è con noi e chi è contro di noi. È venuto il tempo che ogni persona a Makkah scelga da che parte stare. Siamo stati indulgenti con i nostri alleati, ma ora non più. Essi devono dichiarare da che parte stanno”. Yaser fu preso alla sprovvista. “Abū-1-Hàkam, questo rimprovero contro di me è ingiustificato. Dal momento in cui ho dato la mia parola di amicizia a tuo zio, ho considerato i tuoi amici come miei amici, ed i tuoi nemici come miei nemici. Ho fatto qualcosa che ha danneggiato te o la tua tribù? Eppure ho sentito da te delle parole che raramente vengono dette in questa sacra città”. Un sorriso sornione apparve agli angoli della bocca di Abū Jahl ed egli scoppiò in una risata. “Allora, secondo il tuo impegno, tu sei ora un nemico di tuo figlio”. “Abū-1-Hàkam, parla chiaramente! Non ho seguito una sola parola di ciò che hai detto”, gridò Yaser. “Non lo sai?”, replicò Abū Jahl. “Da ieri tuo figlio è diventato un rinnegato; si è unito a Muhammad ed ai suoi compagni”. Sbalordito da questa notizia, Yaser si afflosciò a terra, pallido in viso e sudando abbondantemente. Gli anziani dei Banu Makhzùm si guardavano fra loro sorpresi. Abū Jahl voleva dire qualcosa, ma suo zio Walid bin Mughirah lo interruppe, dicendo: “Nipote, basta! Tratta gentilmente quest’uomo anziano. Non vedi come è stato colpito dalle tue parole. Egli non può essere incolpato degli atti di suo figlio. Dopo tutto, ‘Ammàr è un uomo fatto”. Nel frattempo, Yaser, ripreso il controllo di sé stesso, voltandosi verso Abū Jahl, disse, amaramente: “Dovresti vergognarti Abū-1-Hàkam, di trattare il tuo alleato in questa maniera. Non ho visto ‘Ammar da ieri e non so che cosa stia facendo in questi giorni. Sei troppo severo con me e senza motivo. Tu ami lanciare accuse senza curarti se uno è colpevole o innocente. E se ‘Ammàr fosse diventato un seguace di Muhàmmad? Dopo tutto, anche Arqam è un suo seguace, ma tu non osi insultare Arqam. Muhàmmad si reca alla casa di Arqam, i suoi compagni si incontrano là, egli predica la sua religione, ingiuria i tuoi dei; ma tu sai benissimo che non oseresti toccare Arqam, poiché egli è spalleggiato dai suoi parenti. Io sono qui, il mio alleato, tuo zio non c’è più, così tu dici tutto ciò che ti pare. Questo non è bello”. Così dicendo, Yaser si rialzò e se ne andò tristemente verso casa.
(continua)
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Messaggero dell’Islàm n° 71
(Settembre-Ottobre 1989)
YASER E SUMAYA - 2

di M.M. Siddiqi
Appena entrato in casa, Yaser si rese conto che c’era qualcosa di diverso. Sumaya correva qua e là gioiosamente ed ‘Ammàr rideva felice. Non appena Sumaya si accorse dell’entrata di Yaser, gli corse incontro e sorridendo gli disse: “O Yaser, congratulazioni! Oggi, ‘Ammàr ci ha portato la gioia di questo mondo e quella dell’altro!” “Che significa ciò?”. Questa fu la domanda di Yaser. “Sono stanco di queste stranezze e sono disorientato! Questa notte l’incubo terrificante; questa mattina e adesso odo discorsi che non capisco!” A questo punto intervenne ‘Ammàr: “Congratulazioni, o padre! Oggi, ho per te liete novelle!” Poi soggiunse: “Buone novelle per la vita terrena e per la vita futura!” Yaser, allora, ebbe uno scatto di nervi: “Non parlare per indovinelli e spiegati!” Poi soggiunse: “Oggi, Abū-1-Hàkam ha affermato che sei un apostata. Non ti rendi conto di quale preoccupazione possa essere fonte per tua madre e per tuo padre l’accusa di apostasia?” “Nessuna preoccupazione, o padre mio! Anzi, piuttosto, fonte di benedizione. Ti ho portato benedizioni sia per questo mondo sia per l’altro. Abū-1-Hàkam afferma che ho abbandonato la mia religione, ma in verità, al contrario di quello che vanno affermando io l’ho ritrovata, la mia religione! Ho rinnegato i loro idoli e ho riconosciuto Iddio l’Onnipotente Creatore dell’uomo e di tutto ciò che esiste, mio Creatore, tuo Creatore e Creatore di tutti i Coreisciti, come mio Signore, Uno, Unico ed Unipersonale ed ho riconosciuto Muhàmmad come Suo Messaggero, che Egli ha inviato a tutti gli uomini per indicare loro la retta via!” Il vecchio ascoltava assorto, come se ogni parola che ‘Ammar andava dicendo gli stesse raggiungendo il cuore senza passare attraverso le orecchie. Quando ‘Ammar ebbe finito il suo annuncio Yaser rimase in silenzio per un po’; poi disse, come se stesse parlando a sé stesso: “Così è Lui! Così è Lui!” ‘Ammar disse: “Che dici o padre?” Yaser cercò di rispondere, ma non ci riuscì, perché l’emozione gli chiudeva la gola e copiose dai suoi occhi scendevano le lacrime. Dopo un profondo sospiro disse: “Figliolo, tu mi ricordi qualcosa di molto antico. Successe poco dopo il mio arrivo a La Mecca. Avevo, allora, circa vent’anni. Abū Hudhàifa mi portò davanti agli idoli e mi chiese di inchinarmi davanti ad essi e di impegnarmi nei confronti di lui in loro nome! lo rifiutai. Abū Hudhàifa, allora, mi chiese, il perché. lo gli risposi che se avessi dovuto adorare qualcosa avrei adorato l’oceano, che è così vasto e profondo, oppure il sole, che splende e ci dà luce e calore, oppure il cielo, così ricco di stelle scintillanti! Così, adesso, tu mi vieni a dire che Muhàmmad insegna che non si devono adorare gli idoli, né altre cose esistenti, ma insegna che l’uomo deve adorare solo e esclusivamente il Creatore di tutto ciò che esiste!” Si tacque e dopo lunga riflessione disse con voce rotta dall’emozione: “O mio Dio, quanto tempo ho atteso che qualcuno mi insegnasse come adorarti!” Sumaya e ‘Ammàr si scambiarono una rapida occhiata interrogativa, mentre il vecchio fissava l’immensa distesa del deserto. Dopo un lungo silenzio Yaser si mosse e disse, rivolgendosi ad ‘Ammàr: “Per favore, portami da Muhàmmad”. Questa decisione scatenò l’ira di Abū Jàhl, il quale, venuto a conoscenza della conversione all’Islàm di Yaser, si recò alla casa di quest’ultimo, la sera stessa, con grande seguito di suoi schiavi e di giovani makhzumiti. Giunto sul luogo con la sua masnada Abū Jàhl ordinò che tutti i familiari di Yaser, Yàser in testa, venissero arrestati e dopo avere fatto uscire dalla casa tutti gli occupanti, ordinò che venisse incendiata. Mentre venivano trascinati in catene verso la prigione privata di Abū Jàhl, Yaser si rivolse a Sumaya e disse: “O Sumaya, .... e questo non è che l’inizio! Il mio sogno sta diventando realtà!” Il giorno seguente gli anziani della Tribù dei Coraisciti si riunirono nel sacro recinto della Ka’ba. L’argomento all’ordine del giorno non era il commercio, ma l’incredibile episodio della sera precedente. Nella Città della Pace un giovanotto dalla testa calda aveva commesso un crimine assolutamente inedito. Non era mai avvenuto che, privatamente, venisse emessa una condanna senza processo, imprigionando e bruciando abitazioni in città. Parlò per primo Walìd ben Mughira, il quale, rivoltosi ad Abū Jàhl, disse: “Nipote mio, mi ha sconvolto molto profondamente il gravissimo episodio di cui ti sei reso protagonista ieri. Quello che hai fatto è in contrasto con le nostre tradizioni. Tu non hai consultato né me né gli Anziani dei Quraisc. Hai perso forse la ragione, per rabbia o per superbia?” Fece una pausa e poi aggiunse: “Per Dio! Temo che qualcosa di brutto stia per succedere a causa della tua azione. Il popolo dell’Arabia rispetta questa Città e la considera sacra. Nei momenti di pericolo essi cercano rifugio in essa. Se non hanno un lavoro, vengono a La Mecca per trovarlo. Nei momenti di fame e di carestia è da questa città che essi ricevono il cibo. A La Mecca essi trovano sicurezza cibo e lavoro. Noi li proteggiamo dai tiranni e diamo loro soccorso, pace e prosperità. Quando la notizia di questo episodio sconcertante si diffonderà nella terra d’Arabia ... si dirà che i tempi sono cambiati e che anche nel “sacro recinto” non c’è più sicurezza! Io consiglio di liberare immediatamente le vittime del sopruso e di risarcirle”. Abū Jàhl, livido di rabbia e respirando affannosaftlente, esclamò: “Per Làt e per Uzzah! Finché sarò vivo e saprò reggere in mano una spada, non sarai in grado di toccare questi prigionieri. Lo so di aver infranto le abitudini di questa città, ma non sono il primo! Muhàmmad lo ha fatto prima di me”. Walìd interloquì con gentilezza: “Nipote mio, che cosa stai dicendo? Muhàmmad non ha bruciato nessuna casa, non ha messo in catene nessuno!” Abū Jàhl replicò: “Ha fatto cose, in verità, ben peggiori! Ha dato inizio ad una ribellione tra gli schiavi, predicando loro che nessuno ha diritto di essere padrone dell’uomo, tranne Iddio! Egli insulta i nostri dei e predica a noi di smettere di adorarli, pena l’inferno. La sua predicazione mina alla base il prestigio, i privilegi e il potere dei Coreisciti. Se nessuno vuol combattere contro di lui, combatterò io solo contro lui e i suoi seguaci per proteggere i miei dei, il mio onore, l’onore della mia tribù e del mio popolo!” Umayah bin Khalàf si alzò in piedi ed approvò con foga: “Bravo Abū-1-Hàkam! Tu hai saputo dire tutto quello che ciascuno di noi ha dentro il cuore. Veramente, Muhàmmad ed i suoi compagni sono esseri spregevoli e la loro presenza tra noi è come una spina nelle nostre carni. Più presto ci saremo liberati di loro e più presto staremo tutti meglio!” Abū Jàhl replicò: “Zio, tu hai sottovalutato Muhàmmad. Se il Suo messaggio si diffonde tra la gente, non ci saranno più né nobili né schiavi; non saranno più adorati Hubàl, Làt e Uzzah. I ricchi verranno derubati dei loro averi, che saranno distribuiti alla plebaglia. I nostri dei saranno distrutti. Voglio tagliare alle radici quest’erba maligna prima che si diffonda ulteriormente”. Queste parole fecero arrabbiare Walìd bin Mughira. Puntando il dito verso Abū Jàhl disse: “Stai commettendo un grosso errore. Una persona veramente coraggiosa combatte con i suoi pari. Chiunque perseguiti i suoi alleati, gli schiavi ed i deboli è un codardo ed un tiranno”. Egli parlò per un po’, ma vedendo l’indifferenza dell’uditorio, pose termine al suo discorso con una frase incisiva, dicendo: Se nessuno ha interesse ad ascoltare è inutile dare consigli!” Ciò detto abbandonò la seduta.
(continua)

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Messaggero dell’Islàm n° 72
(Novembre-Dicembre 1989)
YASER E SUMAYA - 3

di M.M. Siddiqi
Accompagnato dai suoi schiavi e dalle schiere, Abū Jahl andò dai prigionieri. Li fece uscire dalla stanza dove erano stati imprigionati la sera precedente, e li fece trascinare per le strade della città. Era difficile per loro camminare, a causa della catene ai loro piedi; quando essi scivolavano, Abū Jahl ed i suoi uomini li incitavano a rialzarsi con lance e pugnali, li tiravano per i capelli o per la barba, li prendevano a calci, li schiaffeggiavano e li spingevano a camminare più in fretta. Dovunque essi passavano, la scena creava un affollamento nelle strade, ma nessuno osava cercar di fermare Abū Jahl. Egli li portò nel deserto nei sobborghi di Makkah. Abū Jahl si avvicinò a Yaser dicendogli malignamente: “Mio caro alleato! Sei ancora fedele al nostro patto? Ieri ti sei espresso in maniera così eloquente!”. “Con questo crudele trattamento, tu hai spezzato la nostra alleanza. Noi non siamo responsabili di questo”, disse Yaser. “Allora siamo entrambi liberi dall’impegno, non è così?” Disse Abū Jahl in modo beffardo. “Sì”, rispose Yaser con spirito. “Sono libero da questo patto come sono libero da tutti i mali dell’idolatria!”. Udendo queste parole, Abū Jahl colpì Yaser così violentemente sul viso che la sua bocca cominciò a sanguinare. Gli altri si unirono a lui, picchiando Sumaya e Yaser sul volto. Quindi Abū Jahl ordinò ai suoi uomini di farli stendere sulla sabbia bollente. Egli bruciò i loro corpi con sbarre di ferro incandescenti. Poi, come se non avesse fatto abbastanza, pose delle grosse pietre sui loro petti. Egli voleva sentire un grido di richiesta di pietà, un’esclamazione di angoscia, anche un debole sospiro, ma le labbra dei prigionieri erano sigillate, ed i loro cuori erano rivolti a Dio. Se chiedevano pietà, lo facevano solo con l’anima rivolgendosi unicamente al Misericordiosissimo. La tortura continuò per parecchie ore, finché Abū Jahl, deluso e stanco, li lasciò al sole cocente con qualche uomo di guardia. Ma prima di andarsene, disse loro: “Non pensate che finisca così! Tornerò questa sera!”. La città di Makkah non aveva mai visto prima tempi così duri. Erano passati i giorni in cui gli abitanti di Makkah erano stati i protettori dei deboli, i sostenitori dei poveri ed i difensori della giustizia. Non c’era una sola casa in Makkah dove la conversazione alla fine non vertesse su Yaser e sulla sua famiglia, su Bilal, su Suhaib, su Khabbàb e sui loro persecutori Abū Jahl, Umayyah bin Khalaf, ‘Uqbah bin Abi Mu’it e gli altri. Gli anziani della tribù di Quraish odiavano questo misfatto di Abū Jahl e dei suoi amici, ma accettavano tali avvenimenti con la motivazione che questo avrebbe spaventato Muhàmmad ed i suoi compagni, allontanandoli dalla strada sbagliata; che li avrebbe ricondotti sui sentieri dei loro avi, e che avrebbe trattenuto gli schiavi e gli altri dalla rivolta. Le loro coscienze tacevano, ed essi davano la loro approvazione mal volentieri. I nobili più giovani dei Quraisciti, comunque, trovavano questa linea di condotta piuttosto divertente, sebbene alcuni di loro avessero anche dei timori. “Hai visto Sumaya?” - stava dicendo Harith a suo fratello, ‘Ikrimah bin Abū Jahl- si contorceva sulla terra ad ogni frustata, ma la vecchia strega non ha mai emesso un grido. Ti ricordi come eravamo soliti spaventarla urlando dietro di lei o saltandole di fronte?”. “Io ammiro quel vecchio folle di suo marito - disse Ikrimah- nostro padre lo ha frustato e lo ha bruciato con ferri roventi per fargli dire poche parole buone su Lat e ‘Uzzah’ ma egli non lo ha fatto. E’ Ammar!’ Non riuscivo proprio a staccare gli occhi da lui! Sembrava che ci fosse un sorriso segreto sul suo volto, come se stesse rispondendo agli incoraggiamenti di qualcuno; Harith, pensi che ci sia forse qualcosa di vero in quanto dice Muhàmmad?”. Harith, allarmato, si guardò intorno pieno di timore e quindi replicò: “Ikrimah, se nostro padre ti sentisse pronunciare queste parole, sono sicuro che ti picchierebbe fino alla morte, nonostante il suo amore per te!”. Sàfwan bin Umàyyah e Khàlid bin Walid si scambiavano le loro osservazioni. Safwan disse: “Avresti dovuto vedere Bilal nelle mani di quei furfanti. Lo tenevano per le braccia e per le gambe e lo tiravano con tutta la loro forza in ogni direzione. Ero sicuro che gli avrebbero strappato gli arti. Ma egli diceva soltanto: ‘Uno, Uno!” Khalid disse: “Ma io credo che Suhaib sia il più forte di tutti loro. La gente lo trafiggeva con lance e pugnali, lo frustava, lo bruciava, ma egli parlava con loro della sua fede come se fossero suoi vecchi amici. Raramente, stringeva i pugni e si mordeva le labbra per l’intensità del dolore, ma subito dopo, riprendeva ancora con le sue chiacchiere. Lo battevano selvaggiamente; il poverino è svenuto. Io dico, è una vergogna che persone così coraggiose siano torturate in questo modo!”. “Taci, Khalid!” consigliò Safwan. “Se tuo cugino ti sente parlare così, darà anche a te qualche frustata!”. • Quanto agli schiavi ed ai poveri, essi detestavano con tutto il cuore questi comportamenti, ma per timore potevano parlare soltanto approvandoli. Molti di loro erano terrorizzati, ma vi era qualcuno che provava amore e simpatia, e che segretamente pregava per il successo della missione di Muhàmmad. Quanto ai Musulmani ai quali queste torture erano state risparmiate grazie alla loro posizione, ciascuno di essi non desiderava altro che scambiare il suo posto con i fratelli che soffrivano. Finalmente, alcuni dei Musulmani, compreso Khabbàb, andarono dal Messaggero di Dio, s.s., che si trovava all’ombra della Kàbah e dissero: “Perché non chiedi a Dio di aiutarci? Perché non preghi per noi?”. Conoscendo le terribili torture a cui i prigionieri erano sottoposti e l’intensità dell’angoscia degli altri Musulmani, il Messaggero di Dio disse loro semplicemente di essere pazienti. Il Messaggero di Dio, s.s., in compagnia di ‘Uthman passò dal luogo dove Yaser e la sua famiglia venivano torturati. Erano stesi a terra con grosse pietre sui loro petti. Ogni tanto, gli idolatri colpivano le loro carni con lance e pugnali, li scottavano con ferri roventi, o li frustavano, ed ancora queste anime pazienti non lanciavano un gridò nè emettevano una sola parola. Ma quando videro il volto benedetto del Profeta, s.s., Yaser lo chiamò: “O Messaggero di Dio! Per quanto continuerà ancora tutto questo?”. E allora il Profeta, s.s., guardandoli nella loro angoscia, rispose con ineffabile tenerezza: “Pazienza, o famiglia di Yaser, Dio vi ha promesso il Paradiso.” Sumaya parlò: “Testimonio che tu sei il Messaggero di Dio, e testimonio che la promessa di Dio è vera”. E ‘Ammar’ rivolgendosi agli idolatri esclamò: “Voi nemici di Dio, torturateci ora quanto volete, perché il Paradiso sta aspettando noi e l’Inferno sta aspettando voi!”. Gli idolatri sentendo ciò, persero del tutto il controllo; frustarono i prigionieri senza ritegno. Pochi giorni dopo, Abū Jahl si vantava davanti ad una compagnia di anziani Quraisciti: “Finalmente ho avuto successo nel far sì che Yaser e la sua famiglia lodassero i nostri dei”. “No, Abūl-Hakam, non lo credo”, disse ‘Utbah bin Rabi’ah. “Yaser è un uomo con una forte volontà. Morirebbe piuttosto che arrendersi a te”. “E se si arrendesse?” disse Abū Jahl con un senso di trionfo. ‘Uthah disse: “Molto bene, allora ti darò venti cammelli”. Shaybah, suo fratello, aggiunse: “E venti te li darò io”. “E se Yaser morisse piuttosto che cedere?” Chiese ‘Utbah. “Allora qualsiasi cosa voi decidiate”, replicò Abū Jahl. • I tre uomini, accompagnati da altri e pensando alla loro scommessa, si recarono al luogo dove la famiglia musulmana veniva torturata. Essi videro tutti i primitivi strumenti di tortura. Da un lato il fuoco ardeva alto, e le sbarre di ferro venivano riscaldate su di esso; da un’altra parte vi erano otri pieni d’acqua. Gli uomini bighellonavano intorno con lance, pugnali e fruste. Le tre vittime stavano distese con mani e piedi legati. Abū Jahl ordinò ai suoi uomini di portarli più vicino, ed essi furono gettati a terra come tre sacchi. Abū Jahl prese una frusta e cominciò a colpirli, ma tutti e tre ripetevano: “Allàh! Allàh!” “Dite Lat! Dite ‘Uzzah! Dite che Muhàmmed è un bugiardo” gridava Abū Jahl furiosamente. Si avvicinò a Sumaya ed eslamò: “Tu vecchia pazza! Se non dirai qualcosa di buono su Lat e ‘Uzzah e non insulterai Muhàmmad, non arriverai viva a domattina!” Sumaya replicò: “Maledetta Lat, Maledetta ‘Uzzah! Che cosa mi è più caro della morte? Allora non dovrò più vedere la tua maledetta faccia. ‘Utbah e Shaybah comincirono a ridere; Abū Jahl, irritato da questi insulti davanti ai suoi amici, iniziò a colpire selvaggiamente Sumaya con calci nello stomaco. Essa ripeteva ancora: “Maledetta Lat! Maledetta ‘Uzzah! Oh Allàh, chiamami a Te!”. Accecato dalla furia, Abū Jahl strappò una lancia da uno dei suoi uomini e la conficcò nello stomaco della donna. Sumaya emise un debole grido e spirò, la prima martire della causa della religione di Allah. “Nemico di Dio!” gridò Yaser. “Tu l’hai uccisa. Maledetto tu ed i tuoi idoli!”. “Assassino! Nemico di Dio!” esclamò Ammar. “Maledizioni su di te e sui tuoi idoli! Brucia nella tua furia, poiché il Messaggero di Dio le ha promesso il Paradiso!” . Yaser esultante esclamò: “E la promessa di Dio è vera!”. Abū Jahl non diede a Yaser la possibilità di aggiungere altro, lo colpì allo stomaco con un calcio così violento che egli lanciò un urlo e morì, il secondo martire della casa dell’Islàm. ‘Utbah e Shaybah intervennero, poiché Abū Jahl si dirigeva verso ‘Ammar: “Non eravamo d’accordo che, se Yaser e sua moglie avessero rifiutato di adorare i nostri dei, la decisione sarebbe stata nostra?” Abū Jahl rimase in silenzio, fremendo per l’umiliazione e la collera repressa. Gli altri dissero: “In verità, tu l’hai detto, e noi ne siamo testimoni”. Quindi ‘Utbah disse: “Dunque noi ti diciamo di liberare ‘Ammar così che possa seppellire suo padre e sua madre”. Non avendo altra scelta, Abū Jahl ordinò ai suoi uomini di liberare’ Ammar dal palo della tortura. Non appena egli cercò di reggersi in piedi, Abū Jahl, amareggiato dalla rabbia e dalla vergogna, si allontanò dalla scena.

N.° 213

Ramadàn 1440
Maggio 2019

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